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Deduzione spese per imprese e attività commerciali a Dubai

La deduzione delle spese e altre componenti negative di reddito negli Emirati Arabi

(Dott.Ernesto Cherici - dicembre 2010)


Il legislatore italiano ha disposto, con l'art. 110 comma 10 del tuir, che non sono ammesse in deduzione le spese e le altre componenti negative di reddito che derivano da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate, nonché professionisti domiciliati, in paesi black list individuati dal D.M. 23 gennaio 2002. Si tratta di paesi non appartenenti all’Unione europea e che hanno un regime fiscale privilegiato (RFP).

Nel presente articolo inquadreremo il comportamento che l'imprenditore nazionale deve tenere per poter dedurre i costi e le spese sostenute con imprese residenti/localizzate ovvero professionisti domiciliati negli Emirati Arabi Uniti (EAU). Gli EAU risultano inclusi nell'art. 2 di tale lista nera, dalla lettura del quale si evince che viene considerato un Paese “virtuoso” solo ed esclusivamente se le operazioni commerciali vengono poste in essere con società operanti nei settori petrolifero e petrolchimico assoggettate ad imposta. In tutti gli altri casi viene considerato un Paese a fiscalità privilegiata.

Per quanto concerne le operazioni commerciali con società degli EAU che operano in settori diversi da quelli sopra indicati oppure con professionisti è quindi necessario che l'impresa residente in Italia, affinché possa dedursi i costi e le spese sostenute, dimostri alternativamente:

Le cause esimenti sopra evidenziate, quindi, hanno lo scopo di dimostrare che l'impresa italiana pone in essere con imprese ovvero professionisti degli EAU operazioni commerciali reali e non finalizzate a contabilizzare costi esteri inesistenti ovvero sovrastimati. In luogo delle stesse, il contribuente ha la facoltà di avvalersi della procedura dell'interpello preventivo antielusivo (ex art. 21 della Legge n. 413 del 30 dicembre 1991), con il quale, prima dell’inizio delle operazioni con la controparte estera, è possibile presentare le prove della prima esimente ed eventualmente della prima parte della seconda esimente (le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico), ma sicuramente non della seconda parte della seconda esimente (effettiva concreta esecuzione), in quanto è necessario attendere una risposta affermativa prima di dare concreta esecuzione alle operazioni oggetto dell’interpello.

Prima di passare ad analizzare nello specifico le cause esimenti, è necessario chiarire a cosa ci si riferisce con la locuzione “spese e gli altri componenti negativi”. Per spese si intende il flusso di ricchezza in uscita dall’impresa, mentre con componenti negativi di reddito si intende qualsiasi componente negativo anche quello derivante da procedimenti di valutazione che diminuiscono il patrimonio dell’impresa (ammortamenti, svalutazioni, comprese le perdite su crediti). Tale poste passive sono indeducibili salvo prova contraria mediante la dimostrazione delle cause esimenti ovvero presentazione di interpello preventivo.

Tra le spese e gli atri componenti negativi sono esclusi: il costo di acquisto delle immobilizzazioni (perché all'atto dell'acquisto non costituiscono componenti negative di reddito iscritte nel conto economico), la distribuzione dei dividendi (perché non si tratta di spesa per l'impresa residente), le spese di costituzione della società, di sottoscrizione del capitale, i versamenti in conto capitale (quest'ultimi tre non costituiscono componenti negativi del CE – parere 10 del 22 giugno 1998 del Comitato Consultivo per l'applicazione delle norme antielusive); invece è necessario segnalare i beni che vengono inseriti nel CE il cui costo storico è inferiore a 516 €.

Cause esimenti

In relazione alla prima causa esimente (prevalenza di un'attività commerciale effettiva) è necessario definire alcuni concetti.



Relativamente alla seconda causa esimente (interesse economico delle operazioni) è utile tener presente le conclusioni indicate nella risoluzione n. 46/E del 16 marzo 2004 dove l'Agenzia delle Entrate ha stabilito che tale condizione può essere considerata soddisfatta quando venga dimostrato (dall'impresa italiana) che il prezzo praticato dal fornitore estero risulti mediamente inferiore per oltre il 30% a quello praticato dai fornitori italiani. Il contribuente nazionale deve attestare che anche la comparazione dei costi cosiddetti intermedi (trasporto, spedizione, deposito, assicurazione,...) sono ugualmente vantaggiosi rispetto ai medesimi prezzi praticati da imprese non localizzate in paesi a fiscalità privilegiata.

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 26298 depositata il 29 dicembre 2010) l’onere di provare l’esistenza delle condizioni per dedurre i componenti negativi compete sempre al contribuente. Quest’ultimo, infatti, ha l’obbligo di provare l’interesse economico che l’ha indotto a commercializzare con imprese localizzate in paesi black-list.


Obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei redditi

L’ultima incombenza a carico dell’operatore italiano è rappresentato dall’obbligo di indicare separatamente, nella dichiarazione dei redditi, l'ammontare dei costi e delle spese dedotte che provengono da operazioni con paesi black list. L'omissione di tale precetto è sanzionato a norma dell'art. 8, comma 3-bis, del DLgs 471/1997 (sanzione pari al 10% dell'importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di € 500,00 ed un massimo di € 50.000,00). Prima dell’entrata in vigore della Finanziaria 2007, che ha introdotto la nuova norma sanzionatoria del comma 3bis dell’art. 8 del DLgs 471/97 (quindi fino al 31/12/2006), tale omissione veniva punita anche con il disconoscimento della deduzione.

Dal 1° gennaio 2007, quindi, l’omessa separata indicazione dei costi e degli componenti negativi nella dichiarazione dei redditi non è più punito anche con il disconoscimento alla deduzione ma con la sanzione prevista nel richiamato art. 8, comma 3-bis del Dlgs 471/97.

(Dott.Ernesto Cherici - dicembre 2010)

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